ANNO 25 n° 111
I fratelli Corso già arrestati per usura
I Nucera, invece, erano stati rinchiusi a Mammagialla il 16 aprile per una truffa da oltre 2 milioni di euro
07/05/2013 - 04:00

di Alessia Serangeli

VITERBO – Faceva ormai parte della “famiglia” a tutti gli effetti. Si era conquistato il titolo di “Contrasto onorato” e stava giusto per ottenere la carica di “Sgarrista”, il grado più alto dell’onorata società col quale si poteva assumere il comando di una locale prima dell’introduzione della “Santa”.

Un salto di carriera niente male per Alberto Corso (37 anni), finito in manette all’alba di ieri durante il blitz dell’Arma coordinato dalla Procura di Reggio Calabria insieme al fratello Augusto (51).

I due, entrambi originari e residenti a Canepina, sono proprietari dell’azienda Ortofrutta Cimina, che si trova nella nuova zona artigianale del paese.

“Certo che so chi sono”, ha raccontato una persona del posto. “Qui in paese ci si conosce più o meno tutti. Ricordo un periodo in cui si parlava molto di loro e delle loro attività perché, nel giro di poco tempo, cambiarono tenore di vita. Accadde circa tre anni fa, quando aprirono la più grande ditta ortofrutticola dei Cimini, sfoggiando auto molto costose”. Una trasformazione troppo repentina per essere “pulita”.

E, infatti, proprio il 30 novembre 2010 vennero rinchiusi nel penitenziario di Mammagialla dagli uomini della Guardia di finanza. Non erano ancora nell’“onorata società”: all’epoca erano più semplicemente strozzini. In quella circostanza vennero arrestate altre undici persone, tra cui la moglie di Augusto, Zaira Chiricozzi (originaria di Vallerano), cui venne concessa la detenzione domiciliare. A far scattare l’inchiesta, fu un piccolo imprenditore edile di Canepina, finito nella morsa dell'usura e a cui gli aguzzini applicavano tassi che andavano dal 3.650% al 18.000% l’anno. Traduzione: praticamente la somma raddoppiava ogni dieci giorni. Tant’è che, in un’occasione, la vittima fu costretta a pagare 1.900 euro per averne 700.

In carcere rimasero meno di venti giorni: il 17 dicembre il Riesame di Roma avrebbe infatti revocato tutti i provvedimenti del gip viterbese per “insussistenza di gravi indizi di colpevolezza”.

I fratelli Corso tornano quindi in libertà e riallacciano i rapporti, intrapresi fin dall’aprile 2009, con gli ‘ndranghetisti Francesco e Domenico Nucera (rispettivamente 32 e 42 anni), gestori di una cava in quel di Graffignano ed arrestati giusto il 16 aprile scorso per una frode milionaria ai danni delle assicurazioni per almeno due milioni di euro. clicca qui per il link

“Le circostanze sospette – spiegano i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria – iniziano nella primavera di quattro anni fa, quando Alberto Corso e Francesco Nucera chiedono denaro ad Antonio Nucera (58 anni, zio di Francesco e Domenico, ndr) perché l’azienda ortofrutticola era in forti difficoltà economiche”.

E’ in questa circostanza che Alberto Corso viene indicato a Domenico Nucera, che detiene la carica di “Santa”, come “contrasto onorato”. E sarà lui stesso a fornirgli un’illuminante lezione su gerarchia dell’organizzazione, rito del battesimo, suddivisione dei locali e così via. “Tu hai la stoffa per diventare subito ‘Sgarrista’, senza passare per la carica intermedia di camorrista. Se poi vorrai andare oltre ti aiuterò io”. Alberto entra a tutti gli effetti nelle grazie della “Santa” Domenico.

E, così, iniziano i trasporti sulla rotta Reggio-Viterbo e viceversa. Obiettivo: riciclare ingenti somme di denaro per poi farle rientrare, pulite, nelle mani del clan ‘ndranghetista che, poi, investiva.

Nel maggio 2009 il primo imprevisto. “Antonio Nucera, fermato ad un posto di controllo nel provincia di Viterbo dai finanzieri - fanno sapere gli investigatori – viene trovato in possesso di circa 50mila euro e dichiara che erano soldi provenienti dalla Svizzera e che sarebbero serviti ai nipoti per pagare gli operai”. Invece si scopre che il denaro era per i fratelli Corso e che proveniva dalla Calabria.

Secondo gli organi inquirenti i Corso ed i Nucera avrebbero riciclato almeno 600mila euro per investirli nelle società a responsabilità limitata Vitercalabra (sede legale Vignanello), Ortofrutta Cimina (Canepina), Nucera Trasporti (Viterbo), OrtFruit International (Canepina), Cimina Immobiliare (Canepina), e Trasporti Centro Italia (Attigliano).

“La restituzione del denaro – hanno aggiunto i militari dell’Arma – avveniva mediante l’invio mensile di 7.500 euro e di 50mila euro una tantum allo zio Antonio che, tramite Domenico Vitale, li restituiva a chi aveva dato il credito, tra cui Rocco Musolino”.

“L’intera operazione, denomimata ‘El Dorado’, prende il nome proprio dall’attività di reciclaggio che ha consentito di costruire un intero impero economico nella Tuscia, dove insistevano le sei aziende sottoposte a sequestro probatorio tutte riconducibili ai fratelli Corso e Nucera”, hanno sottolineato i carabinieri facenti capo al colonnello Gianluca Dell’Agnello impegnati nel blitz di ieri.

Oltre ai fratelli Alberto ed Augusto Corso e Francesco e Domenico Nucera, gli altri arrestati sono: Antonino Casili (58 anni); Domenico Foti (55); Concetto Manti (43); Tommaso Mesiano (55); Antonio Nucera (72); Bruno Nucera (55); Carmelo Nucera (63); Carmelo Nucera (43); Diego Nucera (65); Filippo Nucera (72 anni); Giuseppe Nucera (67); Raffaele Nucera (50); Raffaele Nucera (40); Roberto Raso (41); Pietro Rodà (47); Domenico Vitale (54); Girolamo Zindato (40 anni).

L’attività portata a termine dimostra che resta alta l’attenzione dell’Arma per contrastare il rischio di infiltrazioni malavitose nel tessuto economico e sociale della Tuscia.

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