ANNO 25 n° 89
'Nrangheta, riciclaggio di denaro anche nella Tuscia
Coinvolte aziende calabresi, del viterbese e una di Terni
06/05/2013 - 10:38

VITERBO – Da Reggio Calabria a Terni. Passando per Viterbo, vera e propria base logistica di una cosca della criminalità organizzata. Perché è proprio da qui che giungeva il denaro sporco, per essere ripulito e poi tornare indietro.

Il blitz. L’ora x dell’operazione El Dorado è scattata all’alba di oggi, quando cinquanta uomini facenti capo al colonnello Gianluca Dell’Agnello hanno dato esecuzione a sei ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di altrettanti soggetti, indagati a vario titolo per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione illegale di armi comuni da sparo, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, tutte ipotesi delittuose aggravate dall’art. 7 L. 203/91 (per aver favorito un’associazione per delinquere di stampo mafioso)

A coordinare la maxi operazione, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio, nella persona del sostituto Antonio De Bernardo e del procuratore aggiunto Nicola Gratteri. Oltre ai sei arrestati nel Viterbese, in carcere sono finite altre sedici persone tra la provincia calabrese e quella di Terni.

L’inchiesta. Le indagini, brillantemente condotte dall’Arma di Reggio Calabria, prendono il via nel settembre 2009: nel mirino finiscono le attività economico-commerciali della famiglia Nucera e, poco dopo, anche quelle dei fratelli Corso

“L'input fu la scoperta del locale gestito dalla ‘Ndrangheta di ‘Gallicianò’, cuore dell’area Grecanica e frazione aspromontana del Comune di Condofuri (RC), caratterizzato tra l’altro dalla presenza di altri due locali: Condofuri Marina e Condofuri San Carlo”, hanno spiegato i militari, aggiungendo: “L’attività d’indagine ha consentito di individuare persino le precise delimitazioni territoriali e le competenze dei rispettivi locali”. Era la località Acquapendente a dividere il confine tra il Gallicianò ed il San Carlo. Ma alle volte i confini sono labili.

“Ad un certo punto – hanno spiegato gli investigatori - è sorto un forte contrasto per l’assunzione del comando all’interno della stessa famiglia”. Così, per ribadire chi doveva essere ad esercitare il potere, intervennero altri soggetti considerati “importanti” che, nonostante non appartenessero a quel locale, ristabilirono gli equilibri.

La lotta intestina inizia nel 2002 quando Antonio Nucera (58 anni) si arroga il diritto di autonominarsi capo del Gallicianò, al posto di Giuseppe Nucera (67), finito in manette per 416 bis.

Quando nel 2008 viene scarcerato pretende però di tornare al suo posto e, a quel punto, interviene Domenico Nucera, genero di Giuseppe e nipote di Antonio, che organizza un incontro (svoltosi il 26 dicembre 2009) che si risolve in favore del suocero.

Nel corso delle investigazioni, poi, spunta fuori tale Alberto Corso, socio in affari dei fratelli Nucera e, soprattutto, loro referente nella provincia di Viterbo. “Corso è indicato da Domenico Foti come ‘contrasto onorato’ e ricevette un’illuminante lezione sulla ‘Ndrangheta da parte di Domenico Nucera”. Sarà proprio lui, infatti, a spiegargli l’organizzazione, l’assegnazione delle cariche in occasione della festa della Madonna di Polsi, la suddivisione dei locali, lo sviluppo della carriera ‘Ndranghetistica, il rito del battesimo, e così via. E sarà sempre lui a promettere ad Alberto Corso l’alta carica di “sgarrista”.

“L’indagine ha consentito di appurare un sistema di riciclaggio di denaro sporco che, partendo dalla Calabria, passava per il Lazio attraverso alcune ditte e ritornava in provincia di Reggio. Già nell’aprile 2009, Corso e Francesco Nucera, titolari di alcune piccole aziende nella provincia di Viterbo, si presentano a Reggio Calabria e tramite Antonio Nucera, chiedono del denaro poiché la ditta ortofrutticola Cimina dei fratelli Corso era in forti difficoltà economiche. Nel maggio 2009 Antonio, fermato ad un posto di controllo nella provincia di Viterbo, viene trovato in possesso di circa 50mila euro in contanti dalla Guardia di Finanza e lo stesso dichiara che erano soldi provenienti dalla Svizzera e che servivano ai nipoti per pagare gli operai. Invece si evince che i soldi erano per i fratelli Corso e provenivano dalla Calabria''.

Gli organi inquirenti hanno stimato che i fratelli Nucera e Corso abbiano preso circa 600mila euro dalla Calabria reinvestendoli nelle ditte Nucera Trasporto, Vitercalabria ed Ortofrutta Cimina.

''La restituzione del denaro avveniva mediante l’invio mensile di 7.500 euro e di 50mila euro una tantum, ad Antonio che, tramite Domenico Vitale li restituiva a chi aveva dato il credito, fra cui Rocco Musolino”.

L’intera operazione, denominata “El Dorado”, prende il nome proprio da questa attività di riciclaggio, che ha consentito di costruire un intero impero e paradiso economico nella Tuscia, dove sono state sottoposte a sequestro probatorio sei aziende, tutte riconducibili ai fratelli Corso e Nucera.

“L’attività investigativa portata a termine oggi - hanno sottolineato dal Comando provinciale - dimostra che soprattutto nella Tuscia l’attenzione dell’Arma dei Carabinieri e delle altre forzi di polizia è alta e costantemente rivolta a captare possibili pericoli di infiltrazioni malavitose di qualsiasi natura nel tessuto economico e sociale”.

Facebook Twitter Rss