ANNO 25 n° 117
Ma quanta bella roba c’è a Viterbo!
Riflessioni di Elda Martinelli, con simpatia...
09/09/2013 - 04:00

di Elda Martinelli

VITERBO - Ho partecipato al Festival Barocco in diversi ruoli e in diversi periodi della sua lunga vita: alla fine degli anni ’80 collaboravo nella segreteria/ufficio stampa (in alcune edizioni sotto l’egida di Bruno Gnignera) e ancora alla fine degli anni ’90, realizzando dei costumi femminili (commissionati dalla “Scuola di Danza” Allegrini) per un balletto barocco studiato ad hoc e presentato con musica da camera, in situazioni vis-à-vis con il pubblico: dunque curatissimi nei particolari d’epoca, studiati e riprodotti. Ma il modo che preferisco di vivere il Festival Barocco è quello di essere pubblico. E come tale vi racconterò, se vorrete seguirmi, queste mie emozioni.

“Ma quanta bella roba c’è a Viterbo!'

E’ quello che ho pensato quando sono “caduta dentro” le ultime tre (bellissime!) serate del Festival Barocco, appena chiuso: le ubicazioni e le note, pur di epoche diverse, si esaltavano a vicenda. Il tempo passato le impastava e le amplificava, di emozioni e di storia. Arte visiva e arte musicale. Arte.

E’ quello che ho pensato quando, trent’anni fa, sempliciotta ragazza di provincia, mi sono ritrovata a Roma, studentessa universitaria, in mezzo a corsi monografici di arte medioevale sulla chiesa di san Pietro, a Tuscania o sul monumento funebre di papa Adriano V, nella chiesa di san Francesco a Viterbo, realizzata (probabilmente) da Arnolfo di Cambio! E ancora trovando, sui miei manuali universitari, intere pagine dedicate alla chiesa di San Flaviano (a Montefiascone) e ancora alla viterbese chiesa di Santa Maria Nuova e al quartiere di san Pellegrino: luoghi che hanno ospitato i concerti barocchi che ho seguito. Per non parlare della cappella Mazzatosta, in santa Maria della Verità, mia tesi al diploma della Scuola di Restauro: perché la mia città l’ho sempre amata e studiata!

Ma andiamo per ordine.

Sabato 31 agosto il Festival ha proposto l’orchestra barocca “Modo Antiquo”, fondata dal compositore e flautista Federico Maria Sardelli, che, presentato (al troppo poco pubblico!... ma dove sono i tanti musicanti e musicologi viterbesi in queste belle occasioni?) dal maestro Stefano Vignati (dal 2011 direttore del nostro prestigioso Festival Barocco, alla 42° edizione) ha con lui brevemente illustrato il programma attraverso le sue peculiarità: cosa sempre molto gradita a chi, come me, non ha elevate conoscenze tecniche del repertorio proposto e può così apprezzarne meglio tutti i passaggi. Il quartetto di raffinati musicisti parte e subito la chiesa inferiore, discretamente illuminata da soffuse luci, si riempie e brilla di suggestioni. Chiesa inferiore, sì: perché, per chi non lo ricorda o non vi è mai entrato, la meravigliosa chiesa di san Flaviano è composta da 2 chiese sovrapposte, una sull’altra (ma orientate in senso opposto) con la suggestiva balaustra rettangolare della superiore, aperta sulla inferiore, dove, appunto si è svolto il concerto. I valenti musicisti erano incorniciati da uno scenario davvero evocativo: l’altare nel quale sono raccolte le spoglie di san Flaviano (martirizzato a Montefiascone nella metà del IV secolo e per questo motivo copatrono con santa Margherita) e dal piccolo affresco sulla nuda pietra dell’abside, dove san Flaviano è rappresentato a cavallo, con fluente chioma bionda e vessillo (da non confondere con san Giorgio che ha anche il drago…). Lì, davanti alla stupenda facciata, passava la via Francigena, percorsa da pellegrini di tutta Europa: quello era il nucleo del primo Montefiascone, quando la chiesa era ancora dedicata a santa Maria. Prima che il paese fosse ricostruito in alto. Mi guardo intorno e assaporo le tipiche variazioni musicali barocche, ricche di virtuosismi, sottolineate dalla voce della soprano (…il canto espressivo nasce in questo momento) : guardo i bellissimi strumenti, anche antichi, anche preziosi. E penso che musica così toccante non poteva essere presentata in miglior cornice. Penso che il connubio tra musica d’eccellenza e ubicazioni così prestigiose (e così tante nella nostra terra!) sia ancora una volta e sempre più una carta vincente per il Festival Barocco e una imperdibile opportunità per il suo pubblico. Preziosa, in questo senso, la scelta dei siti operata e arricchita con nuove sale e/o chiese (dalla ottima acustica!... particolarmente gradite dagli artisti, spesso di fama internazionale) da Stefano Vignati con i suoi collaboratori: ultima in ordine di tempo Maura Riacci, non solo Ufficio Stampa del Festival ma anche e soprattutto esperta amante della musica. E viterbese. Perché iniziata al canto dalla Camerata Polifonica Viterbese dell’indimenticato maestro Zeno Scipioni, per concludere poi la sua formazione di studi a Roma, presso l’Accademia di Santa Cecilia. La serata si conclude in un momento (come sempre quando si sta bene il tempo vola…) per prolungarsi poi nella delicata disponibilità degli artisti: compresa la nota violista da gamba, violoncellista e musicologa italo-tedesca Bettina Hoffmann, la quale risponde alla mia curiosità di vedere tra le sue mani una stupenda viola da gamba a tredici corde, spiegandomi il loro rapporto tonale di “quinta” (do/sol, per i primitivi come me…) a partire dal re diesis. E tutto sembra semplice. Come solo i grandi sanno farlo apparire.

Domenica 1° settembre, nella chiesa viterbese di Santa Maria Nuova, il Festival presenta l’“Ensemble Heliantus”, fondato da Laura Pontecorvo tra alcuni maestri che collaborano alla bella iniziativa di corsi internazionali di musica antica “Ottaviano Alberti”, che si tengono ogni anno ad Orte. Voi lo sapevate? Io no. Nel pomeriggio (sempre in santa Maria Nuova) sono stati presentati i saggi dei bravissimi studenti che, a inizio concerto, sono applauditi dallo stesso Stefano Vignati, il quale ufficializza la possibilità di vederli inseriti in un loro spazio, nel prossimo Festival Barocco. Ancora poche interessanti parole (accanto alla famosa insegnante di liuto, tiorba e chitarra barocca Evangelina Mascardi, argentina di nascita ma italiana di adozione…) sui brani che saranno eseguiti e la magia riparte, come la sera prima: in un unico filo che lega note eterne, strumenti antichi, archi a tutto sesto di peperino. Di quella che è, per me, la più bella chiesa di Viterbo: dove arte e preghiera non stonano, insieme.

La parrocchia più antica di Viterbo: quella dove si svolgevano prediche religiose e laiche dal pulpito esterno (la tradizione vuole che da lì predicò, un giorno, anche san Tommaso d’Aquino…) perché forse non tutti sanno che fino alla metà del ‘200 il centro della vita cittadina, la piazza del Comune, era l’attuale piazza del Gesù: all’ingresso da via S.Lorenzo, sull’angolo di sinistra (oggi in parte adibiti a negozio, in parte murati lungo la via) sono ancora visibili alcuni archi del portico in cui il Podestà amministrava la giustizia, sotto al bel Palazzo del Podestà, con scalinata e profferlo (la piazza del Plebiscito, costruita sull’area cimiteriale di Sant’Angelo in Spatha, è di 2 secoli posteriore al periodo d’oro di Viterbo, che fu il XIII secolo).

Un concerto bellissimo! Ma poiché, da semplice pubblico e non da esperto critico musicale, affermo che di tutti gli strumenti il mio preferito è la voce, fra i bravi artisti dell’Ensemble ricorderò la voce indimenticabile di Marco Beasley: ho subito intuito la sua napoletanità, nascosta dal suo cognome… fin dal primo “Motetto ab una voce” di Alessandro Grandi… e poi con“ Tarantella primma, siconna e terza”. Un’emozione immensa questo brano, anche se non regolarmente barocco; come il bis (inatteso quanto entusiasmante) con “O sole mio”, in una cascata di variazioni armoniche proposte da Guido Morini (al suo clavicembalo) e la chiusa in un penetrante quanto memorabile sussurrato, anziché il consueto acuto. In quella voce tenorile ho ritrovato il calore e la forza espressiva indomita della mia amata Napoli. E molto altro.

Mercoledì 4 settembre, nella chiesa viterbese di Santa Maria della Verità, il Festival chiude con un gran finale: l’Accademia Barocca di Santa Cecilia presenta “I gioielli della serenissima”, un programma dedicato ai più famosi autori veneziani, da Albinoni a Vivaldi, passando per Alessandro Marcello. E in questo luogo, emozioni e ricordi si moltiplicano e amplificano. Mentre vado a prendere posto (in una “sala” finalmente piena ma non gremita) gli occhi e il cuore si fermano sugli affreschi della cappella Mazzatosta, dietro la maestosa cancellata, sulla destra. E penso, per un lungo amaro attimo, a come molti viterbesi (come pure molti altri italiani!) preferiscano viaggi all’estero in pacchetti “tutto compreso”/ niente capito… senza conoscere l’arte, la storia e la bellezza della propria città.

Gli affreschi della cappella Mazzatosta sono l’unica opera documentata di Lorenzo da Viterbo (quello al quale è intitolata l’Accademia di belle Arti…) e unica testimonianza conservata della visione rinascimentale, armonica e prospettica, nella nostra città. Senza farla troppo lunga sulla importanza storico artistica vi dirò solo che una bomba caduta nel ’44 (danneggiando gravemente facciata e tetto della chiesa) causò, con lo spostamento d’aria e le schegge, la sconnessione e la caduta degli affreschi della cappella. Per fortuna, nella sfortuna, proprio in quegli anni prende forma l’Istituto Centrale di restauro, a Roma (grazie alle teorie di arte e di restauro di maestri quali Giulio Carlo Argan e Cesare Brandi) che molto si diede da fare a fine guerra: e che proprio per salvare la preziosa opera di Lorenzo da Viterbo inventò le tecniche (ancora oggi usate!!!) di recupero di oltre 20.000 frammenti di affresco non più grandi di un francobollo. E soprattutto, in questa occasione, creò le nuove tecniche di integrazione pittorica, laddove fossero irrecuperabili parti fondamentali (con il “rigatino” per le piccole estensioni / con il disegno lineare, nelle grandi campiture). Ridando vita al capolavoro che (ignari) conserviamo a piazza Crispi, con l’aiuto di pochissime vecchie foto in bianco e nero e senza l’aiuto di molte recenti metodologie: escogitando la tecnica di impressione fotografica anche su materiali come tela, legno e perfino gesso, fondamentale per incollare su proiezioni 1:1 di foto le infinite “tessere puzzle” dell’affresco caduto, come fu fatto nel gruppo che ritrae Niccolò della Tuccia.

Il risultato è sotto i vostri occhi, ogni giorno: ad aprirli, i vostri viterbesi occhi!

Placo il cuore di restauratrice (attività svolta in una delle mie vite precedenti, parallela per un tratto a quella di teatrante…) e mi siedo. Cuore in ascolto. Arricchita e ricompensata dall’indiscutibile bellezza dei brani scelti quanto dalla bravura degli artisti. La serata è quella delle grandi occasioni: Stefano Vignati, in frac, presenta ma soprattutto dirige con cura ed eleganza un concerto che è registrato live per la Dinamic, proprio in questa occasione, proprio a Viterbo. E’ la loro prima volta, insieme: eppure direttore e maestri sono affiatatissimi e propongono, tra i vari brani, un gioiello, il concerto per Liuto in Re maggiore di Vivaldi. Il concerto ha inizio: i forti e i piano della bella musica veneziana mi fanno correre con le immagini oltre la grigia pietra viterbese che la accoglie. Per la prima volta noto quanto possa somigliare alle luci e ombre della sua laguna: perché anche la musica può dipingere. Emozioni.

Breve pausa per consentire al giovane e già noto solista Simone Vallerotonda di accordare la sua tiorba: e si riparte. Paolo Pollastri, oboe solista di fama internazionale, negli “Allegri” sorride al pubblico e tiene il tempo ondeggiando: poi riprende il suo oboe e riparte, nel modo più naturale possibile (affiancato nelle partiture che lo prevedono dall’altro oboe solista, Simone Bensi). Toccante il “Largo” dell’ultimo Concerto per 2 oboi e Archi, sempre di Vivaldi, offerto da questi tre grandi artisti. Senza nulla togliere ai maestri tutti.

“Allegro molto”, ultimo movimento: siamo alla fine del concerto. Penso che dovremmo smetterla di pensare il Barocco come arte musicale e visiva “di nicchia e ridondante”: l’arte ci fa ricchi, ci fa liberi. L’arte tutta parla al cuore. Mettiamoci in ascolto. Saremo migliori. Applausi. Saluti, bis e ancora applausi. Ringrazio il mio compagno, Arcangelo Corinti, che ha vissuto accanto a me queste serate piene di arte e che ha voluto scattare alcune foto, senza disturbare troppo gli artisti (speriamo!): per fermare le emozioni in immagini. Piccola cosa di fronte a ciò che ha toccato le nostre anime. Appuntamento al prossimo anno. Venite anche voi, pur se come me non siete esperti di questa musica, colta e popolare, ricca e generosa. Impareremo insieme a conoscerla ed amarla. A conoscere ed amare un poco di più chiese e siti pieni d’arte e di storia della nostra città.

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