ANNO 25 n° 111
Quel pasticciaccio di Monte Romano
Circa 170 immobili e migliaia di ettari di terreno ''dimenticati'' dalla Regione Lazio
25/09/2013 - 04:00

VITERBO - Non può essere casuale né frutto di sola sciatteria e incapacità la distruzione sistematica del patrimonio della Asl di Viterbo, così come di quello del resto del Lazio, a opera delle varie agenzie regionali che nel tempo si sono occupate, si fa per dire, della gestione. Dietro l'immane sfascio si deve per forza celare un disegno preciso, interessi indicibili e lucrosi. Insomma, un vero e proprio verminaio, uno scandalo di portata nazionale.

E l'epicentro dello scandalo è Monte Romano, comune di 2019 abitanti, una volta granaio del Pio Istituto Santo Spirito, il cui territorio, 84,14 chilometri quadrati, è in parte di proprietà pubblica. Oltre 2660 ettari sono occupati dall'azienda agricola della Rocca Respampani, ai quali vanno aggiunti un numero imprecisato ma consistente di fondi rurali non provenienti dal Santo Sprito, ma comunque appartenenti alla Asl. Tutti beni fino al 2004 gestiti dal Comune e poi trasferiti alla Regione Lazio. Inoltre, ci sono i terreni dell'Università agraria, circa 3mila ettari, e i il poligono militare, circa 1500 ettari (i restanti 3mila ettari del poligono ricadono nei territori comunali di Viterbo e Vetralla).

Sotto la sciagurata gestione regionale sono finiti anche 170 immobili, tra i quali l'ex convento, la chiesa parrocchiale e la casa canonica, l'ex granaio, che costituiscono una larga fetta del centro storico. Tutta roba di cui la Regione si è di fatto ''dimenticata'', al punto che non conosce più né la consistenza dei singoli immobili, né la loro superficie e quindi il loro valore.

Va precisato che i beni pubblici di Monte Romano provengono da due diversi fondi: il Pio Istituto Santo Spirito e il patrimonio dell'ente ospedaliero. Entrambi, a partire dal 2001, sono stati ''espropriati'' dalla Regione Lazio e infilati dapprima nel calderone ribollente di scandali della Gepra, la società controllata dalla stessa Regione e successivamente sciolta per una serie infinita di ruberie, e poi della Risorsa, altra società regionale anch'essa sciolta per manifesta inefficienza. Attualmente il tutto è gestito, o meglio dovrebbe essere gestito, direttamente dal demanio regionale.

Orbene, le circa 170 famiglie che abitano in quegli immobili, compreso il parroco, sono considerati abusivi dalla Regione. Perché? Semplice: prima la Gepra e poi Risorse non hanno rinnovati i contratti d'affitto agli eredi di coloro che le avevano abitate per decenni. Una scelta sconsiderata che, da circa 10 anni, fa vivere nell'incertezza coloro che vi abitano, spesso persone anziane, e soprattutto non garantisce alcun introito degno di questo nome alla Regione.

Ancora più sconcertante è che alla Regione non conoscono nemmeno lontanamente il reale stato degli edifici in questione. Si tratta infatti di costruzioni del XVIII-XIX secolo non in regola con le norme urbanistiche. Nel primo Dopoguerra, infatti, hanno subito modifiche abusive e, probabilmente, non più sanabili. Molte unità sono state nel tempo frazionate tra gli eredi dell'affittuario originario e alcune hanno addirittura cambiato destinazione d'uso.

Nell'inventario dei beni in comunione eseguito dalla Risorse, sono indicati degli immobili di alcune centinaia di metri quadrati, alcuni addirittura superiori ai mille metri quadrati che, di fatto, non esistono più in quanto sono stati divisi in lotti molto più piccoli. In media di 45-60 metri. Solo nell'ex granaio, anch'esso inventariato come corpo unico, sono ''sopravvissuti' cinque o sei appartamenti di dimensioni intorno ai 90-100 metri quadrati. Tutto il resto è stato spezzettato in mille rivoli è ha inevitabilmente perso di valore. Ci sono addirittura immobili classificati come abitazioni che hanno il bagno sul ballatoio delle scale e privi di ogni requisito igienico sanitario. Ma tutto questo la Regione non lo sa.

O forse, come sussurra più d'uno, le fa comodo fingere di non saperlo. I beni delle Asl del Lazio, quelli di Monte Romano compresi, sono iscritti nel bilancio regionale per un importo considerevole. Accertare il loro reale valore, quindi, potrebbe far crollare la relativa ''voce'', aprendo un ulteriore buco nelle esangui casse dell'ente. Quindi è meglio otturarsi gli occhi, il naso e la bocca.

Le principali vittime dell'omertà che circonda il patrimonio regionale sono tre: la Asl, che si è vista ''espropriare'' i beni lasciati in eredità nei secoli dai cittadini affinché fossero destinati alla sanità pubblica; gli affittuari, fatti diventare forzatamente abusivi, anche se in alcuni casi avevano chiesto di rilevare l'abitazione dalle quale, peraltro, non potranno mai essere sfrattati; lo stesso Comune di Monte Romano, che fino al 2004, bene o male, ha mantenuto il patrimonio edilizio e rurale, garantendo almeno un minimo reddito.

Sempre a Monte Romano, inoltre, è in corso da anni un braccio di ferro tra il Comune e la Regione sull’azienda agricola Rocca Respampani: un grande castello seicentesco, un numero imprecisato di case rurali e 2.660 ettari (1000 coltivati, 1.300 a bosco ceduo e il resto a pascolo o incolto). La Regione pretende di entrare in possesso di quel ben di Dio, ma il sindaco Maurizio Testa, come i suoi predecessori, hanno puntato i piedi. Il Comune, infatti, ha mantenuto per decenni i beni aziendali, anche eseguendo degli investimenti. Quindi non intende cederli. Anche perché non ha mai ricevuto garanzie circa la tutela di coloro che vi lavorano, sul mantenimento degli allevamenti bovini e su tutte le attività che vi si svolgono.




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