ANNO 25 n° 109
osservatore romano: La generazione del ''Signor tu''
10/08/2011 - 11:11

dall'osservatore romano

L’unica cosa semplificata con successo in Italia sembra essere l’uso del TU, dovunque e con chiunque. Rende più facile e diretto il parlare, non costringe alle lotte con la coniugazione dei verbi, abolendo nel dialogo la terza persona singolare, il LEI e semplificando tutto.

A tutti il TU.

Il benzinaio, un ragazzotto di’una ventina d’anni, ti dice – quando va bene – CIAO, non senza averti invitato ad avvicinarti alla pompa con un “ vieni “ avanti.

Il barista, alla signora che lo saluta con “buongiorno, per favore mi dà…” risponde “ lo vuoi con lo zucchero o senza?”.

Allo sportello della posta, dopo che in fila un energumeno ha chiesto:”quanti bollettini devi da pagà ?”, l’impiegato, senza guardarti, pretende: ”ma nun c’hai due centesimi spicci?”.

Sulla spiaggia la bambina che incontra l’insegnante la saluta au pair” maestra pure te stai qua?”

Nella cassetta delle lettere trovi il deputato che non conosci e che non hai votato, il quale scrive “Caro amico, ti informo…” e giù tante chiacchiere mentre cerchi invano l’unica informazione che ti interessa, chi gli ha dato l’indirizzo e dove ha preso i soldi per il foglio, la busta, la spedizione eccetera.

Addirittura le voci elettroniche dei call center pubblici e privati di danno del TU, pure quelle che augurano buon viaggio o avvertono che puoi parcheggiare gratis per un’ora al centro commerciale.

Fraternitè, egalitè, macchè. E’ tutta gente che non conosci, incontri per caso e non hai mai pensato di andarci a far bisboccia insieme.

Eppure, con quel TU è come se ti scansasse violentemente con la mano, come se non considerasse che sei un altro TU , un altro rispetto al TU cui si è rivolto un momento prima.

Ci volevano la Merkel e Sarkozy a richiamarci al bon ton, dando del LEI all’Italia, quando l’hanno commissariata con l’unica possibilità di passare gli esami di riparazione fissati a settembre come da tradizione.

Quando a scuola si diceva signora maestra, si dava del LEI per rispetto e per rispetto si collaborava a far diventare l’Italia quella che diventò nel dopoguerra, quando anche i titoli valevano qualcosa: dottore, professore, perfino onorevole.

E se uno non aveva un titolo accademico aveva diritto ad essere chiamato “Signor…”.

All’inglese, come scriveva davanti ad ogni nome un maestro di giornalismo locale ( e tra i veri fondatori – pochi – dell’Università della Tuscia) il professor Alessandro Vismara.

Un signore che ti dava del Lei come , allora, tanti altri professori per rispettare la tua identità, anche se avevi trent’anni meno di lui.

Ricomplichiamoci un po’ la vita, magari cominciando, maestri, professori e dirigenti scolastici, a settembre quando si riaprono le scuole, a pretendere il LEI e a darlo.

Perché solo per gli ignoranti tutto è arrogantemente semplice. Come il TU.




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