ANNO 25 n° 88
La ''bloody music'' dei Bloody Kiss
La band viterbese ha scelto un suo originalissimo percorso musicale
27/07/2013 - 04:00

di Elisa Spinelli

VITERBO - Last Kiss For A New Life, è il titolo del primo album dei Bloody Kiss, band viterbese composta dal cantante Marco Tonetti, dalla tastierista e corista Giulia Cappetti, dal bassista Daniele Bettolini, dal chitarrista Gianmarco Maggini e dal batterista Damiano Gambetta.

La loro opera prima, Last Kiss For A New Life, si compone di cinque brani che s’ispirano al genere gothic nord-europeo, ma dove si percepiscono anche contaminazioni proprie del rock e del metal. Interessante rilevare una novità per questo tipo di genere musicale: un pezzo completamente in italiano, nonostante il titolo possa trarre in inganno, Dead End, che si rivela caratteristica originale e coraggiosa che dimostra l’entusiasmo innovativo della band.

Il gruppo ha presentato il suo album al Music Shop di Viterbo il 13 luglio scorso.

Il cd dei Bloody Kiss si può acquistare durante i concerti della band o attraverso la loro pagina facebook (https://www.facebook.com/pages/Bloody-Kiss/298875370128159?fref=ts).

‘’L’ultimo bacio per una nuova vita’’ è la traduzione del titolo del vostro album, cosa tende a comunicare?

Il titolo vuole rappresentare, di certo, un nuovo esordio: è lo spartiacque tra la nostra passata formazione e ciò che stiamo diventando. E' il frutto di un anno e mezzo di lavoro, in cui ha partecipato attivamente il precedente chitarrista, Giovanni Canu, che poi ha dovuto abbandonare il progetto musicale per motivi lavorativi. In conclusione, è un saluto che dedichiamo a Giovanni ed è l’augurio per un futuro ancora più positivo alla nostra nuova formazione.

La vostra vicenda musicale appare piuttosto vivace, anche questo sicuramente ha permesso di arricchire in modo originale il vostro genere. Come siete arrivati all’attuale formazione dei Bloody Kiss?

Nel settembre 2011 è nato il nostro gruppo, e inizialmente nella line-up avevamo alla chitarra Giovanni Canu, che – come già detto –ha dovuto lasciarci per motivi lavorativi, e quindi Gianmarco Maggini in quel periodo suonava il basso. Marco Tonetti è da sempre il cantante, come anche Giulia Cappetti da sempre alle tastiere ai cori. Invece alla batteria c’è stato Valentino Rosi, al quale, nel luglio 2012, è subentrato l’attuale musicista Damiano Gambetta. Quando Gianmarco Maggini è diventato il chitarrista del gruppo, è arrivato al basso Daniele Bettolini. Ed eccoci qui! Sicuramente dal punto di vista musicale abbiamo dimostrato la nostra vivacità, poiché abbiamo iniziato facendo cover di Billy Idol, Marilyn Manson, 69 Eyes e altri, e dopo qualche mese abbiamo sentito l’esigenza di fare pezzi nostri. Il primo inedito, cui teniamo molto, è stato Pretty Face, e da cui abbiamo tratto anche un video, che potrete vedere su YouTube. Abbiamo all’attivo più di trenta concerti durante un anno e mezzo di attività musicale, e non abbiamo intenzione di fermarci. Suonare dal vivo è davvero emozionante.

Nel vostro album c’è anche un brano in italiano, Dead End: nota sicuramente originale per il vostro genere musicale. Perché preferite affidarvi all’inglese per la gran parte del vostro repertorio?

Il motivo è insito proprio nello stile cui ci ispiriamo, il gothic: un genere che nasce con l’inglese; però stiamo sperimentando la possibilità di scrivere anche alcuni testi in italiano. E’ una sfida che vogliamo affrontare - iniziata già con Dead End – pur sapendo che, utilizzare l'italiano in questo genere di musica, potrebbe essere una scelta rischiosa, ma crediamo che possa anche essere un ulteriore elemento di differenziazione e di originalità.

Gli elementi di vivacità non vi mancano. Vi sentite del tutto inseriti nel genere gothic/metal?

Non completamente. Noi amiamo definire il nostro genere “bloody rock”, quindi una definizione del tutto incentrata sul nostro modo di comporre e suonare. La line-up, inoltre, è composta da personalità musicali piuttosto eterogenee, infatti ognuno di noi ascolta generi di musica differenti, e questa mescolanza trova un’armonia, appunto, nel “bloody rock” quando ci ritroviamo a scrivere nuovi pezzi.

Nonostante la crisi economica, avete deciso di puntare molto sul vostro gruppo, una scelta - di questi tempi – coraggiosa. Perché avete deciso di autoprodurvi completamente?

Innanzitutto abbiamo scelto di mantenere la nostra autonomia musicale attraverso l'autoproduzione: ognuno di noi, in prima persona, ha investito in questo progetto. Inoltre, anche motivi che giungono dall’esterno ci hanno spinto ad autoprodurci, poiché nell’ambito viterbese è molto difficile emergere dal punto di vista musicale, sia perché ci sono moltissime band, ma anche perché non ci sono locali riservati ai concerti live, e quindi era l’unica possibilità per emergere in questo mare magnum di band. Il panorama italiano dal punto di vista delle opportunità musicali è piuttosto oscuro: non ci sono molte possibilità di distinguersi come in passato, i talent-scout stessi sono difficilmente raggiungibili, specie quando le opportunità di suonare dal vivo sono ridotte.

Tra le canzoni del vostro EP c’è “Black Hope”. E’ un riferimento alla complessa situazione della società in cui viviamo?

Sì, e abbiamo scelto di esprimerlo anche nel contrasto stilistico del titolo: “Nera speranza”. Non si può negare che il brano esprima del pessimismo, proprio perché traccia un avvilimento che molto spesso – soprattutto tra i giovani – si può provare quando si percepisce che tutto nella propria vita stia andando male, e, quindi, facilmente ci si perde in pensieri negativi. La canzone è una sorta d’inno negativo alla speranza e allo stesso tempo è un'analisi del momento critico che stiamo vivendo, dove il futuro appare sempre più incerto e difficile da costruire. Crediamo sia importante dare voce anche a questi sentimenti, rappresentarli con una canzone, anche perché attraverso l’espressione musicale ci si può liberare idealmente, e, quindi, far emergere la voglia di reagire allo stato attuale delle cose. La musica diviene, così, ormeggio di salvezza contro il pessimismo dei nostri tempi.

Che idea vi siete fatti dello scenario musicale italiano e locale? Credete sia dato il giusto spazio a chi, come voi, compone e propone al pubblico dei pezzi propri?

Crediamo che comporre pezzi inediti sia la massima espressione creativa per dei musicisti. Purtroppo in questo momento c'è una forte tendenza a ricorrere alle cover-band, quindi a gruppi che propongono il “già conosciuto”; inoltre questa propensione è incoraggiata anche da chi gestisce i locali dell’intrattenimento serale. E’ una condizione che si può osservare quasi ovunque nel nostro Paese: c’è poca attenzione verso quei gruppi che - come il nostro - suona la propria musica, che, ovviamente, richiede molto più impegno creativo del semplice riproporre al pubblico delle cover.

Ad esempio, durante i contest-band è sempre più frequente il confronto con gruppi che suonano solo cover, ed è inconcepibile: è ovvio che il pubblico – che fa da giuria – apprezzi di più brani di band famosissime. Le competizioni, a nostro modesto parere, dovrebbero essere sullo stesso livello, in altre parole tra band che fanno solo inediti.

Avete affermato che è sempre più difficile emergere con la propria musica nell’ambiente viterbese. Qual è, secondo voi, il problema più spinoso che un gruppo deve affrontare per farsi conoscere a Viterbo?

Purtroppo nella nostra città la gran parte dei gestori di pub-bar non è interessata a proporre musica dal vivo, ed è un disinteresse che si evidenzia anche nella mancanza di spazi ben organizzati per ospitare dei concerti, e quindi adatti all’ascolto. A Viterbo sentiamo la mancanza di locali come il Delirium o lo Zukkabar, che davano ampio spazio alla programmazione musicale.

Una frase si sente spesso dire dai gestori di locali serali ai musicisti, che propongono concerti, è: “Sì, vi faccio suonare, ma quanta gente potete portare?”; è ovvio che non capiscono che i musicisti si occupano prettamente dell’aspetto artistico del loro lavoro, e che la pubblicità è una questione che dovrebbe spettare a loro.

 




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